Il galateo del pane
- Dávid Ilona
- 26 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Oggi accompagna il pasto in tutto il suo percorso e può essere declinato in diverse forme e sapori.
Il pane, tra tutti i prodotti alimentari, è forse quello su cui da sempre si sono effettuate le più varie e curiose sperimentazioni progettuali. L’impasto, grazie alle sue proprietà plastiche, ha consentito di giocare con le forme, le dimensioni e le cotture. Dalla michetta, al carasau, al pane di Altamura, alla mafalda siciliana, questo alimento non è solo il risultato di una tecnica ma esprime qualcosa di più profondo, l’anima stessa di un Paese o di un popolo, derivante dal proprio costume e dalla propria storia. Esso è stato per lungo tempo il centro della vita collettiva e ciò porta a condividere il pensiero dello storico Daniel Roche quando sostiene che il pane, aldilà dell’aspetto nutritivo, possiede una sua forma spirituale. Sacro e sacralizzato, alimento base di tante gnerazioni, complemento di tanti piatti, non sempre gode, tuttavia, della dovuta attenzione sulle tavole, in particolare quelle dei ristoranti dove si dovrebbe invece porre sempre la massima cura anche ai dettagli.
In un fascicolo del 1965 dell’Enciclopedia della donna, a proposito del galateo su come si serve e si mangia il pane a tavola.
Da qualche tempo, il cestino del pane sta riacquistando dignità
Il pane è generalmente il primo alimento che il cliente, affamato, porta alla bocca, una sorta di benvenuto, di biglietto da visita del locale che ne introduce lo stile e l’accuratezza. Non solo; esso accompagna il pasto in tutto il suo percorso e può essere declinato in diverse forme e sapori.
Dopo tempi di oblio e poca considerazione da qualche tempo, il cestino del pane è fortunatamente tornato protagonista su molte tavole riacquistando dignità e valore nella sua estetica ma, soprattutto, nella sua varietà di sapori e colori.
Molto probabilmente la cura oggi attribuita da molti ristoratori nella preparazione del pane si deve alla cresciuta attenzione generale ai lievitati: molti sono i corsi di panificazione anche per amatori oltre che per professionisti, numerosi i testi che insegnano a distinguere le varie farine, a riconoscerne le qualità e a fare del lievito madre e del suo uso, anche domestico, un processo magico e insostituibile. Il primo lockdown ha sicuramente svolto un suo ruolo: chiusi in casa, improvvisamente ci siamo scoperti panificatori.

Panini al parmigiano, alle olive, al sesamo, al carbone, integrali, all’uvetta
Oggi guardiamo il pane con altri occhi, soprattutto nei locali pubblici, e i titolari hanno finalmente capito che un cestino del pane di qualità rappresenta un valore aggiunto. Oggi se ne fanno di tutti i colori! E non è un modo di dire. Panini al parmigiano, alle olive, al sesamo, al carbone, integrali, all’uvetta, di semi antichi e ritrovati, oltre a focacce variamente aromatizzate; per non parlare poi dei grissini: all’acqua, all’olio, alla curcuma o punteggiati di semi. Pani perfetti per solleticare l’appetito. Una sapida introduzione in attesa del primo piatto, che oggi si usa sposare oltre al burro salato, al burro mantecato a spuma. L’ultima tendenza è accompagnarlo a un olio di qualità in un piattino dove intingere il boccone spezzato con le mani.
Anche il modo di presentare il pane in tavola ha la sua importanza: difficilmente si trova ormai il classico cestino. I vari pani vengono presentati in piatti di servizio, come una vera e propria portata e ogni commensale dovrebbe trovare alla sua sinistra il piattino su cui posare la porzione prescelta.
Le regole imposte dal Covid hanno di nuovo tentato di mortificare il pane che, per ragioni igieniche, molti locali presentano chiuso in sacchetti di carta individuali, nascosto alla vista, senza che possa essere accarezzato con gli occhi e assaporato con l’olfatto; per fortuna, però, sappiamo che il più delle volte quando apriremo il sacchetto, ritroveremo quello che ci aspettavamo: fragranza, colori e sapori non ci deluderanno.
Forrás: Accademia Italiana della Cucina folyóírata, Civiltá della tavola, 2022, ferbuári száma.
Tratto liberamente dalla rivista Civiltà della Tavola, febbraio 2022
L'articolo in lingua ungherese QUI
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